[Fonte: Giornale del Regno delle Due Sicilie, martedì 21 maggio 1844]

NOTIZIE INTERNE

Sabato scorso, 18 corrente, seguì la solenne inaugurazione de' nuovi tratti della strada a guide di ferro da Torre Annunziata, per Pompei, Scafati, Angri e Pagani, a Nocera.

Alle tre e mezzo p.m. il Corpo Diplomatico, il Ministero di Stato, i Capi di Corte, i Generali de' Reali eserciti, il Prefetto di Polizia, il Sindaco di questa Città e altri ragguardevoli personaggi convennero in una Sala della Stazione di Napoli per attendervi S.M. il Re N.S. e la Famiglia Reale.

In altra Sala vennero accolte le altre persone invitate.

La musica di un Reggimento della Guardia Reale allegrava di scelti concerti quella Stazione.

Compagnie del Reale Esercito e della Reale Gendarmeria divisa frattanto in tutte le Stazioni da Napoli a Nocera ed inoltre, di tratto in tratto, lungo la strada altri Reali Gendarmi e Guardie Urbane adempivano al doppio fine e di decorar la cerimonia e di vegliare al buon ordine. Le Stazioni stesse erano abbellite da eleganti parati di drappi ove spiccavano gli augusti simulacri, a mezzo-busto, delle LL.MM. il Re e la Regina tra svariati fregi che circondavanli.

S.M. il Re e l'augusta Famiglia giunsero alla Stazione del Carmine col corrispettivo lor Seguito, e furono ricevuti in su l'ingresso da S.E. il Ministro Segretario di Stato degli Affari Interni, che presentò all'augusto Monarca il Cav. Bayard de la Vingtrie, Ingegnere direttore de' lavori, ed i Commessarj della Società della strada ferrata da Napoli a Nocera ed a Castellammare, per rendergli grazie di quella speciale protezione che si è degnato concedere ad una sì bell'opera pubblica. La M.S. volle colà osservare la grande Officina di riparazione delle Locomotive e di costruzione de' vaggons, delle carrozze, ove con compiacimento vide molte macchine venute dall'Inghilterra che, mosse dal vapore, servono così bene a tutti i lavori ch'ivi si fanno ed ai quali prende pur parte gran numero di giovani artieri napolitani che ammaestransi all'adoperamento di quelle macchine.

Circa le quattro, ad un cenno di S.M. il Re, il Convoglio di dodici vaggons, tratto da una sola macchina locomotrice a sei ruote, mosse da Napoli. Senza mai arrestarsi dopo 57 minuti esso era già pervenuto a Nocera, percorso lo spazio di venti miglia. Liete musiche militari festeggiaron l'arrivo. S.M. il Re ne discese con la Reale Famiglia, e venne accolta dall'Intendente della Provincia di Principato Citeriore, dal Segretario generale di quella Intendenza, dal Maresciallo De Sauget, Comandante la brigata stanziata in Nocera, e da tutte le Potestà d'ogni ramo. La M.S. in unione delle altre persone auguste in una convenevolmente addobbata Sala della Stazione trattenesi alquanto con gli eminenti personaggi che la seguivano, ed affabilmente accettò que' rinfreschi e reliciamenti diversi che il Cav. Bayard proffersele, e de' quali fu prodigo verso tutti coloro che facevan parte del Convoglio.

Risalita poi S.M. coll'augusta Famiglia nel Reale vaggon, e risalite le persone invitate ne' vaggons corrispettivamente assegnati, il Convoglio, ad un sovrano cenno, lasciò Nocera avviandosi alla Stazione di Napoli, ove giunse circa le sette in 54 minuti.

La M.S. manifestò la sua Real soddisfazione per sì felici risultamenti.

Dobbiamo aggiungere che sì all'andare come al ritorno lo stesso Cav. Bayard era sulla Locomotiva in compagnia e del Sig. Longridge costruttore macchinista delle Locomotrici e del Capo macchinista della Strada.

Fin qui la nostra narrazione era agevole e piana. Ma troppo difficile sarebbe lo spiegar pienamente tutte le impressioni che un tal viaggio eccitava ed in quelli che sedevano ne' vaggons ed in quelli che n'erano spettatori. Noi non possiamo che solo in parte accennarle.

Non parliamo già delle impressioni che comunemente si provano in tutte le corse sulle strade di ferro; non del veder, per esempio, fuggire volando difilatamente verso la parte opposta al corso le terre circostanti con tutti gli edifici con tutti gli alberi con tutti gli uomini, se l'occhio segue gli oggetti per una linea parallela al convoglio, e muoversi quasi in giro di danza le terre stesse, se lo sguardo oltre quella linea spaziando si aggira; non del contrasto che con tale apparente correre del suolo fa la stabilità, quasi diremmo del mare, il quale a cagione della uniformità della sua superficie parrebbe, se non fosse pel naturale volgimento dell'onde, il solo oggetto immobile in tanto moto; non delle grida di molta gente spettatrice intorno alla strada, che, ascoltate un istante, son nell'istante successivo perdute per l'udito. No, non di questo nè di altre simili sensazioni vogliam parlare, ma di quelle speciali che la strada Ferrata, della quale teniam proposito, in così solenne congiuntura destava.

Chi correndo col Convoglio, poteva non abbandonarsi alle sensazioni del presente per pensare al passato, aveva appena il tempo di dire: Ecco le lave che l'une all'altre sovrapposte, eppur distinte, un tempo ministre ed or monumenti de' furori del vulcano, testé sottoposte a' piedi del viaggiatore ed ora soprastanti al suo capo, mentre lo ammaestrano con naturale cronologia, pacifiche ed ospitali schiudongli il passo a Pompei. Ecco Pompei, ecco il punto ove diciotto secoli s'incontrano col nostro, ove il viandante curioso preme ad un sol passo quella terra che traversata dalle guide di ferro gli mostra il progresso della civiltà moderna, scavata dalla morra gli rivela i fasti dell'antica civiltà: ecco il Sarno dove cadde la fortuna de' Goti, dove tanto si estolse la fortuna di un potente il cui nome va congiunto con la storia dell'Aragonese Dinastia, con la storia della nostra industria e del nostro commercio: ecco la Città dove i Saraceni erano così estranei come gli orrori del Vesuvio in mezzo alle delizie che li circondano, e dove quegl'Infedeli pur trovarono tanto favore da giustificare l'acerbo motto dell'Angioino contra lo Svevo.

Il presente per verità tirava possentemente a sè l'attenzione del maggior numero, talché nel Convoglio, mentre un nostro economista passando da' singoli agli universali sosteneva ragionando, e molti lo ascoltavano, esser troppo esagerato il paragone delle comuni strade di uno Stato alle arterie del corpo umano, ma esser solo giusto quanto alle strade ferrate, perché in queste soltanto la circolazione è rapida come quella del sangue, venne interrotto da uno straniero ch'estatico ammirando quando gli era d'intorno esclamava con tutta l'anima: Ah! noi siamo sulla più bella strada del mondo!

E l'economista e i suoi ascoltanti si riscossero come da un sogno a quella esclamazione, e muti si volsero a contemplare quello spettacolo che più riguardato più bellezze discopre al ciglio. Il maestoso Vesevo, che mai non perdesi di vista, e che appar sempre in nuovo aspetto ad ogni nuovo tratto di strada; una catena di apriche colline che dolcemente s'incurvano quasi ad accogliere il mare, biancheggianti di città, di villaggi e d'infinite ville; ombrose valli; vaghi boschetti; grandi pianure irrigate da fiumi, lussureggianti di erbe, di viti, di alberi scossi da tiepido e vital vento; la vegetazione in tutto il suo vigore; la Primavera che in tutta la sua pompa, in una delle più fertili e forse nella più amena contrada del mondo, gode di specchiarsi in un mare lievemente increspato sotto un Cielo ridente, ecco quanto abbracciava, si può dire, in un sol guardo la vista. Noi non vogliamo questionare se abbia o no Milton attinto in un'opera teatrale nel suo viaggio d'Italia il primo pensiero dell'immortal suo poema; ma siamo tentati a credere che la rimembranza di queste nostre campagne gli abbia non poco agevolato il mirabile concepimento dell'Eden.

Ma l'uomo, ch'è sempre la prima figura d'ogni gran quadro, l'uomo senza il quale la più bella natura par melanconica e trista, l'uomo non mancava in quel quadro stupendo che noi avremmo voluto saper copiare, e che abbiamo appena abbozzato.

Ai regolari e debiti onori che rendevano al Re nel suo passaggio i soldati schierati in più punti della strada si aggiungevano quelli che in cento svariati modi gli facevan gli abitanti di quelle terre affollati in vari luoghi e specialmente nelle Stazioni. Qui mille braccia si alzavano al cielo per implorarne le benedizioni sul Capo augusto del Monarca e sopra la sua Famiglia; là mille altre agitavano festeggianti de' rami di alberi; chi suonava musicali strumenti; chi alterava il tracannar del vino co' brindisi; tutti facevano rimbombar l'aria del grido di Viva il Re; tutti salutavano grati quel Principe che coll'aprire tali novelli aditi al traffico, infondeva novello spirito di vita ne' popoli. Impossibile sarebbe ritrarre tutti i diversi gruppi della gente esultante. Ma due ce ne restarono più impressi nella memoria. Vedevansi in una parte alcuni cadenti vecchi curvi, su i lor bastoni, in mezzo a fanciulli che loro intorno si trastullavano; eglino, per quanto se ne deduceva dagli atti, pareva che, inspirati dal presente prodigio che gli empiva di stupore, altri ne vaticinassero a que' loro nipoti. Singolarissimo era poi presso la Stazione di Nocera un aggruppamento di persone che di mezzo alla folla, sopra un mucchio di terreno formato a cono, sorgeva si compatto e stivato, che, non potendosene ben distinguere i corpi, rendeva la pittoresca immagine di una bella piramide di teste; e poiché lo stesso sentimento di ammirazione e di gratitudine era impresso in tutte quelle fisonomie, e tutti gli occhi del gruppo erano intenti ai medesimi oggetti, esso anzi sembrava un corpo solo con mille volti.

Ma l'aspetto festivo che presentava quella Stazione era veramente straordinario. Essa sembrava un vasto steccato rettangolare, in mezzo ai colli che coronano Nocera, con ampie logge all'intorno, vestite e adorne di drappi di svariati colori, e tutte folte di gente spettatrice, in modo da ricordare que' celebrati aringhi aperti ai valorosi Cavalieri dei mezzi tempi. Indicibile era intanto l'altra moltitudine affollata ne' luoghi circostanti alla Stazione, essendo concorsi allo spettacolo di sì solenne inaugurazione abitanti di più provincie.

Il cuore del nostro buon Re era dolcemente commosso dalle acclamazioni sincere ed universali, ed a ragione. La gioja de' popoli riconoscenti è la più santa e più bella gloria de' Monarchi.

Alessandro Tuzza

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