Bibliografia Ferroviaria Italiana

 

Treno 8017. Il più grave disastro ferroviario italiano

 

Articolo di Renzo Pocaterra, pubblicato in "Linea Treno", Maggio 1995, pagine 30-31

 


 

Il libro "Un treno, un'epoca: storia dell'8017" di Mario Restaino sull'incidente di Balvano è andato subito esaurito. E anche l'articolo con cui "Linea treno" rievocava l'oscura tragedia avvenuta nel marzo 1944 sulla linea Battipaglia-Potenza ha sollevato un grande interesse nei lettori. Torniamo quindi sull'argomento arricchendo di particolari e di approfondimenti l'analisi di una delle più gravi e più misteriose tragedie ferroviarie della storia.

 

Balvano
L'inchiesta
continua

di Renzo Pocaterra

 

Ha suscitato l'interesse di numerosi lettori la rievocazione del tragico incidente di Balvano, pubblicata lo scorso febbraio da questa rivista. L'oscura tragedia in cui trovarono la morte oltre 500 persone, per asfissia, nel marzo 1944 sulla linea Battipaglia-Potenza è avvolta in un mistero che difficilmente potrà essere del tutto chiarito.

La nostra rievocazione si basava essenzialmente sul libro recentemente pubblicato da Mario Restaino (Un treno, un'epoca: storia dell'8017) frutto di un'attenta inchiesta condotta su documenti e testimonianze inedite e la consultazione dei pochi resoconti pubblicati in epoche varie, da giornali e riviste. L'inchiesta condotta dalle Ferrovie e dalle Forze Armate Alleate non è mai stata ritrovata.

Speravamo nell'intervento di qualche nostro lettore con ulteriori notizie. Un contributo molto interessante ci è venuto da Nicola Raimo, che ringraziamo, autore di un articolo sulla vicenda, pubblicato nel novembre 1980 su Strade ferrate, una rivista edita a Frosinone fino a dieci anni fa a cura di appassionati di storia delle ferrovie.

Nicola Raimo ha raccolto l'importante testimonianza di Luigi Ronga, allora fuochista sulla locomotiva di testa dell'8017, l'unico sopravvissuto del personale di macchina perché, colpito da malore, svenne e cadde dalla macchina trovando a livello del suolo un po' d'aria respirabile.

Secondo questa testimonianza vi sono alcuni elementi discordanti rispetto alla versione di Restaino, da noi ripresa: il numero delle vittime, la posizione delle leve per la marcia avanti o indietro delle due locomotive e il numero dei ferrovieri sopravvissuti.

Sul numero delle vittime, Raimo sostiene che furono 521 e forse è la verità, ma non è dimostrabile. C'era una guerra in corso e gli interventi di soccorso furono affrettati e approssimativi.

Sulla questione della posizione delle leve di comando, la maggior parte delle versioni pubblicate concorda con la tesi di Raimo, nell'affermare che la prima locomotiva era disposta per la marcia avanti mentre nella seconda la valvola d'inversione era disposta per la marcia indietro.

Secondo la testimonianza raccolta recentemente da Mario Restaino, ambedue le locomotive invece erano disposte per la marcia indietro.

Per la verità vi sono altre discordanze nei pochi racconti di chi ha avuto parte nella vicenda, ma se consideriamo il tempo trascorso e la forte tensione di quei momenti, la cosa non può destare meraviglia. Preferiamo soffermarci sui fatti, che tutte le versioni sembrano accreditare:

- il treno si arrestò in galleria perché le ruote delle locomotive - ambedue a cinque assi accoppiati - slittavano (inspiegabilmente, dice Ronga) sulle rotaie, malgrado le sabbiere fossero normalmente in funzione e la pendenza (13 per mille) non fosse proibitiva, fino a che il treno fu costretto ad arrestarsi;

- dopo l'arresto il treno fece un tentativo di retrocessione di pochi metri, per poi arrestarsi definitivamente. Quasi certamente il treno era, in quel momento, frenato;

- la cattiva qualità del carbone, indubitabile, non influì quindi tanto sulla capacità di trazione delle macchine, ma sui tempi a disposizione dei macchinisti per affrontare l'emergenza. La galleria era quasi certamente ancora satura del fumo lasciato dal treno precedente;

- il treno era dotato di frenatura parzialmente continua. Ciò significa che alcuni carri erano dotati di freno continuo, il rimanente di frenatura a mano.

Oltre a questi pochi elementi sui quali tutte le versioni sembrano concordare, vanno tenute presenti alcune disposizioni regolamentari:

- la retrocessione, nel tratto in questione, non avrebbe costituito infrazione al regolamento. Come "estrema ratio" non era infrequente. Lo vedremo più avanti;

- i frenatori erano tenuti, per regolamento, a chiudere i freni d'iniziativa solo in caso di spezzamento del treno. Tale ipotesi è assai improbabile;

- il regolamento segnali prevedeva che l'ordine ai frenatori per la chiusura dei treni veniva dato con "tre o più di tre, fischi brevi e vibrati", l'allentamento con "un fischio lungo seguito da un altro breve".

È abbastanza inverosimile che tutti i frenatori abbiano potuto confondere questi messaggi ai quali erano abituati.

Secondo la testimonianza di Mario Motta, il manovratore che provvide ad allentare i freni, i carri trovati frenati erano ben tredici:

- oltre ai fischi di segnalazione rivolti ai frenatori esisteva anche un codice di comunicazione, per mezzo del fischio, fra gli equipaggi delle locomotive in doppia trazione.

Non è da escludere che, nella concitazione del momento, i frenatori abbiano male interpretato i fischi di segnalazione emessi da una locomotiva per attirare l'attenzione dell'altro equipaggio.

L'ultimo dubbio riguarda il numero dei ferrovieri sopravvissuti. Secondo Restaino e Raimo, oltre al fuochista Luigi Ronga si salvò solo il frenatore di coda Roberto Masullo, il primo a raggiungere la stazione di Balvano e a dare l'allarme. Secondo la versione di Cenzino Mussa ("E la morte scese sul treno", Famiglia cristiana 1979) si salvarono anche Giuseppe De Venuto "operaio delle ferrovie che faceva da frenatore che viaggiava sull'undicesimo carro" e Michele Palo, frenatore che, secondo Mussa, raggiunse per primo Balvano e diede l'allarme. Il racconto di Cenzino Mussa riguardo ai tre frenatori è molto particolareggiato, sembra attendibile e di prima mano, ma nulla dice in merito ai freni e nessuno, a quanto sembra, ha raccolto la versione di questi importanti testimoni.

Un'ultima notizia vogliamo proporre ai nostri lettori. Si tratta di una cartolina scritta dieci anni dopo, nel 1954, ad un collega bolognese, da un macchinista di Bologna trasferito al Deposito Locomotive di Catanzaro Marina.

A quel tempo i ferrovieri al sud scarseggiavano e le carenze venivano compensate con trasferimenti obbligati dal nord. Il macchinista (si chiamava Ettore Soverini) così scriveva dando sue notizie: "... come servizio non c'è male ma con certe macchinacce che a noi ce le serbano, le 625 Caprotti non c'è neanche male, una macchina leggera e si fa un buon servizio, ma le 476 a 5 assi accoppiati, una leva (del regolatore, ndr) che vuole in due a girare, e si fanno dei trenacci per Crotone dove passiamo una galleria lunga un 3 km in salita che trovi il 20 per mille, e con quei rubiconi si fa la spinta alle volte: spesso capita di retrocedere, come è capitata a tanti, se si comincia a slittare è già persa".

E fu persa davvero per il disgraziato equipaggio dell'8017. Tentarono di retrocedere ma non ci riuscirono. Il treno era frenato, i perché sono solo congetture. E fu la morte per oltre 500 persone.

 


La locomotiva 480.016 che si trovava in testa al treno 8017, fotografata nel 1966, ancora in servizio nel Deposito Locomotive di Catania (foto Boddi, collezione Cinzio Gasparini).